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Trento, 10 giugno 2009
Colbricon, ultima fermata
Intervento di Roberto Bombarda
consigliere provinciale dei Verdi e democratici del Trentino

Nei prossimi giorni il Consiglio provinciale di Trento sarà chiamato a discutere una proposta di mozione che chiede la sospensione e la revisione dell’iter del collegamento tra San Martino e Passo Rolle. Non è la prima volta che il Consiglio si occupa di questo argomento.

Nella seduta dell'8 maggio 2008, in relazione al disegno di legge n. 263 concernente "Approvazione del nuovo piano urbanistico provinciale", il Consiglio approvava, quasi all’unanimità, destra e sinistra unite come raramente accade (solo 3 voti di astensione, nessun contrario) l’ordine del giorno n. 286, proposto da consiglieri di maggioranza. Nel dispositivo di voto si impegnava la Giunta provinciale ad assicurare nella fase attuativa del nuovo PUP: “1. a) la massima preoccupazione ed attenzione ai progetti di potenziamento e collegamento delle aree sciistiche; b) il rispetto di tutti i valori ribaditi dal PUP e delle invarianti in esso contenuti; c) il principio di prudenza tenuto conto delle trasformazioni climatiche; d) l'equilibrio tra turismo estivo e turismo invernale e la coerenza con le trasformazioni della domanda turistica sempre più volta all'ambiente e al territorio con l'offerta legata all'agricoltura e alla zootecnia; 2. a garantire, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale in corso di svolgimento, la valutazione approfondita anche con riguardo alle soluzioni alternative che in particolare per il collegamento tra Rolle e San Martino possono essere individuate per attenuare l'impatto su siti di particolare valenza paesaggistica, naturale e storica, e ricercando soluzioni in grado di dare risposte alla domanda di mobilità alternativa a quella privata”.

Il 17 dicembre, prima seduta dell’appena insediato Consiglio provinciale dedicata al dibattito sul programma del presidente Dellai, dichiaravo: “Potremo rinunciare a qualche opera assolutamente fuori scala per il Trentino come il passaggio degli impianti del collegamento San Martino-Passo Rolle al Colbricòn, un luogo magico, una riserva di valore mondiale. Vi chiedo un atto di coraggio: se volete rispettare quei cacciatori mesolitici che migliaia di anni fa bivaccavano al Colbricòn, quei cacciatori che sono i nostri antenati, evitate il passaggio da quei luoghi dei tralicci e delle funi, passate da un’altra parte! Ci vuole sobrietà, coraggio e coerenza. Altrimenti alcune iniziative che giudico meritorie, come il nuovo Piano urbanistico, la carta del paesaggio, il riconoscimento delle Dolomiti patrimonio Unesco – tutto il Trentino dovrebbe essere un patrimonio dell’umanità! – rischiano di mostrarsi fallimentari se si costruiscono gli impianti al Colbricòn”.

Il 30 dicembre 2008, quando ancora la XIV legislatura non era entrata nel vivo e tutti avevano la testa tra il presepio e l’albero di Natale, la Giunta provinciale rispondeva a modo suo a quanto stabilito dal Consiglio e da me invocato, approvando come un fulmine a ciel sereno con delibera presentata dal neo assessore all’Ambiente Alberto Pacher – che si è così ritrovato, suo malgrado, il classico “cerino in mano” – il collegamento sci-impiantistico tra San Martino e Passo Rolle proprio attraverso la riserva integrale del Colbricon, nel Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino. Poche settimane dopo – troppo poche, per non pensare che tutto fosse già scritto prima ancora che chi doveva esprimersi si dovesse esprimere – un protocollo d’intesa stabiliva gli impegni di Provincia, Comuni, imprenditori privati per realizzare quello che non è altro che un primo step, un primo passo nella realizzazione di un nuovo carosello sciistico, in parte vestito da “mobilità alternativa”. E che altri passi seguiranno, con ulteriori, imponenti impieghi di denaro pubblico e con altri impatti sull’ambiente ed il paesaggio, i principali fattori dello sviluppo. Come in casi più o meno simili, la parte del leone quanto ad apporto di capitali la gioca la Provincia, al “territorio” è chiesto un impegno da 5 milioni di euro. Per ora.

Nei giorni e nei mesi successivi si manifestavano numerose reazioni avverse a questa decisione, sia a livello locale, sia a livello provinciale. Dalle proteste sui giornali si passava poi alle vie legali. Prima un cartello di associazioni ambientaliste – WWF, Italia Nostra, Mountain Wilderness e Primiero Viva - si rivolgeva il 18 marzo 2009 al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento contro la delibera provinciale e contro il parere del Comitato tecnico per l’ambiente e poi la Società degli Alpinisti Tridentini, sezione del Club Alpino Italiano, avanzava una denuncia alla Commissione delle Comunità europee per “inadempimenti del diritto comunitario”. Quest’ultima denuncia ha stupito un po’ tutti, perché mai prima del 19 marzo 2009, in 136 anni di storia gloriosa al servizio del Trentino, l’associazione alpinistica, forte di oltre 24 mila soci, aveva manifestato apertamente contro una decisione assunta dalla Provincia. Forse la dimostrazione che la misura era colma, o che questa volta – più ancora di altri casi controversi – la Provincia aveva ecceduto nelle sue funzioni e nelle sue decisioni.

Così sta scritto nella denuncia della SAT: “L’area di intervento è situata nel Parco Naturale provinciale Paneveggio-Pale di San Martino, all’interno del quale incide una zona a riserva integrale ed interessa inoltre i seguenti Siti di Importanza Comunitaria: “Val Venegia” (IT 3120011); “Foresta di Paneveggio” (IT 3120013); “Lagorai Orientale” (IT 3120014). Si trova inoltre incluso nella IBA 1998-2000: Catena dei Lagorai – 046 ed in stretta adiacenza al confine della ZPS IT3120160 “Lagorai”. Inoltre l’area è molto interessante anche per gli aspetti archeologici in quanto la zona nei pressi di Passo Rolle e l’area ricompresa tra il Passo e i Laghi di Colbricon sono caratterizzate da reperti attribuiti all’età mesolitica. Per tale progetto, sulla base di uno studio di incidenza lacunoso nonostante le integrazioni presentate su richiesta degli uffici competenti, è stata dichiarata l’assenza di incidenza significativa sul sito e sugli habitat e specie in esso contenuti e pertanto si è espressa la valutazione favorevole con prescrizioni:

- senza alcuna forma di compensazione ecologica per gli habitat o specie che andranno inevitabilmente persi o disturbati;

- senza una credibile comparazione tra alternative di progetto e soprattutto

- senza una adeguata valutazione dell’impatto cumulativo delle opere (già note a tutt’oggi) che necessariamente dovranno seguire la realizzazione di questo primo intervento e che avranno un’incidenza ancora maggiore.”

Giudizi pesantissimi, quelli espressi dalla SAT e rincarati da numerosi interventi sulla stampa locale a cura di esperti di trasporti a fune, di sviluppo turistico, di tutela ambientale. Le lacune del progetto e della procedura sono infatti evidentissime, dimostrando debolezze e carenze sia sul piano ecologico e paesaggistico, sia su quello economico, sia su quello dell’efficienza dei trasporti. 

Tutte le proteste non si concentrano sul “se”, ma sul “come”. Infatti anche le associazioni ambientaliste condividono l’opportunità di un collegamento realmente alternativo tra San Martino ed il Passo, ma tutelando ambiente e paesaggio a costi sostenibili per la collettività. Ma le soluzioni alternative, che pure esistono, non sono state attentamente valutate dalla Provincia, bensì lasciate al giudizio della società impiantista proponente. E’ vero ed evidente che un impianto lungo il fondovalle del Cismon, in parte al fianco della strada di collegamento con il Passo, avrebbe effetti ambientali e paesaggistici rilevanti. Ma sempre inferiori al disastro che si creerebbe in un “santuario” come il Colbricon. Questo lo capiscono anche i bambini! Come si può non rendersi conto di ciò? Come si può pensare che una cabinovia in vista delle Pale possa fare meno danni che ai laghi di Colbricon? Se davanti alle Pale si rovina il paesaggio, allora eliminiamo anche la funivia del Pordoi, o quella del Col Rodella, per non parlare di decine di altri impianti enormemente impattanti sul paesaggio dolomitico, tra i quali ultimi, in ordine di approvazione da parte della Provincia, quelli che attraverseranno Plaza e Fogajard, sfregiando la “cartolina sul Brenta”.

Ora qualcuno afferma: “E’ troppo tardi, abbiamo già deciso!” Troppo facile. Non è così. Prima di tutto perché i dubbi sono ancora tanti, troppi. Perché ci sono in ballo ricorsi. Perché i soldi dei privati non sono ancora stati raccolti e perché non tutti i Comuni si sono manifestati uniti e concordi nello sposare il tipo di soluzione individuata. Anche in questo caso, l’esempio del Pinzolo-Campiglio è emblematico. Nel luglio 2004 qualcuno affermò sicuro: “E’ tutto deciso, è tutto a posto”. Infatti, il collegamento che doveva già essere inaugurato due anni fa è ancora in gran parte al palo. Nel frattempo, il progetto è stato rivisto tre-quattro volte e l’accordo di programma è passato due volte nei Comuni della Val Rendena. Per tornare a San Martino, se ci fosse la saggezza di fare – TUTTI – un passo indietro (la Provincia sospendendo l’iter ed approfondendo le problematiche, le associazioni ambientaliste ritirando i ricorsi) si potrebbero “perdere” pochissimi mesi e recuperare anni, nella fase successiva, con un accordo condiviso ed il favore di tutti.

Scriveva nel 1980 il professor Bernardino Bagolini nel volume “Il Trentino nella preistoria del mondo alpino”: “Nel 1971 la scoperta, nella zona dei laghetti di Colbricon nelle Dolomiti presso il Passo Rolle attorno ai duemila metri di quota, di bivacchi di cacciatori mesolitici più o meno coevi a quelli di Zambana, apriva un nuovo capitolo delle nostre conoscenze sulla frequentazione preistorica degli ambienti di alta montagna che dimostrava avere un’origine impensabilmente remota”. I nove siti rilevati dal professor Bagolini non esauriscono la scoperte, come ha avuto modo di scrivere in più occasioni anche il direttore del Museo tridentino di Scienze naturali, Michele Lanzinger. Non a caso, quest’opera letteraria per la quale l’editore Temi era grato all’Assessorato alle attività culturali della Provincia di Trento, riportava in copertina una foto degli scavi nei bivacchi mesolitici al Colbricon. L’enciclopedia delle Dolomiti, edita da Zanichelli nel 2000, elenca a pagina 65 i trenta momenti più importanti nella storia delle Dolomiti. Al secondo posto, 9000 avanti Cristo circa, l’accampamento mesolitico al Colbricon. E sempre non a caso, nella recente opera (ottobre 2007) dello stesso editore dal titolo “Dolomiti – Sentieri di storia e leggenda” curata da Franco de Battaglia e Luciano Marisaldi, tra i quaranta itinerari presentati, quello ai Laghetti di Colbricon è messo al primo posto. Al primo posto! “I due piccoli laghi costituiscono il centro di una dimensione territoriale che sprofonda nei tempi della preistoria. Qui sta l’origine dell’avventura nelle Dolomiti. Qui si è scritta la prima pagina degli studi che hanno rivoluzionato la percezione della montagna”. Gli autori non hanno paura ad utilizzare per questo luogo un termine inequivocabile: “pellegrinaggio”. Al Colbricon si entra in una specie di “macchina del tempo”, qui si va soprattutto “per provare l’emozione di immergersi negli spazi e nei tempi dei millenni, per rivivere gli scenari di quelle grandi cacce che stanno all’origine della frequentazione della montagna”.  Migliaia di anni dopo, dove i cacciatori uccidevano gli stambecchi, Alpini e Kaiserjaeger si sparavano addosso e facevano saltar per aria le montagne. Ma la Pace al Colbricon sta per essere definitivamente violata da un orrendo impianto di risalita.

Non lo nascondo. Ci sarebbe da vergognarsi di essere trentini. Un trentino, nessun vero trentino “con la montagna nel sangue” può profanare il Colbricon con un inutile impianto di risalita. Un vero trentino ha a cuore la montagna, i suoi destini. Sa distinguere che cosa ha più valore. Sa prendersi cura – come “I care” di don Milani – dei beni più delicati e preziosi. Il Colbricon non è “un” luogo qualunque nelle Dolomiti, è “il” luogo delle Dolomiti, è l’essenza delle Dolomiti. Chi non l’ha capito, può anche cambiar regione! A cosa ci serve l’imminente riconoscimento dell’Unesco? Solo a vendere qualche stanza o qualche skipass in più? Non dovrebbe forse essere uno stimolo per recuperare l’orgoglio montanaro? Per fare qualcosa in più per lasciare in eredità, a questo punto a tutta l’Umanità, i beni che noi ci siamo trovati ad amministrare. Che buon amministratore è quello che distrugge un “santuario” riconosciuto a livello mondiale? Noi non siamo tenuti a gestire le Dolomiti solo per gli abitanti delle nostre valli, ma anche per tutti gli altri abitanti della Terra, anche per quelli che non sono ancora nati.

Le alternative per il collegamento sciistico ci sono, sono più efficienti e meno dannose. Si facciano finalmente prevalere l’intelligenza e l’interesse pubblico e, con un supplemento di indagini ambientali, paesaggistiche ed economiche si salvi definitivamente, per noi e per le generazioni a venire, che ci saranno grate per questo, il magico Colbricon. Il primo atto è la sospensione di ogni iter. Sedersi attorno ad un tavolo e parlare. Ritrovarsi tutti insieme, come nella migliore tradizione della nostra terra, per ricercare il bene comune.

L’ultimo numero della Rivista sociale inviata agli oltre trecentomila soci del CAI riporta l’intervento del presidente generale, professor Annibale Salsa, che richiama il sodalizio al ruolo attivo di “sentinella della montagna”: “Un impegno per l’ambiente montano che sia propositivo e scientificamente corroborato, non ideologico, non pregiudizialmente polarizzato sulla “cultura del no”, ne’ supinamente accondiscendente alla “cultura del sì”, ma scientemente orientato all’etica della responsabilità. L’impegno per l’ambiente…nella consapevolezza che ormai il territorio montano italiano è al limite di carico. La montagna, da spazio di libertà quale è stato nel corso della storia, rischia di diventare una gabbia o un parco giochi dove tutto deve essere pianificato (e pagato)…” Casualmente, ma forse di buon auspicio, lo stesso numero della rivista ospita pure un’intervista al presidente Lorenzo Dellai, il quale dichiara: “Che cos’è, infatti, il nuovo piano urbanistico provinciale, se non la realizzazione di un grande sogno, di un’utopia che sta per diventare realtà, secondo la quale è affidata alle genti che abitano in montagna la responsabilità della gestione del proprio territorio, diffondendo al contempo nelle città quella sensibilità tutta particolare che consente al “cittadino” di vivere la montagna come luogo che produce ma anche che ricrea? In questi anni ci siamo battuti – e continuiamo a farlo – per tutelare il paesaggio fragile e delicato delle nostre montagne, senza dimenticare che ogni attività economica o ricreativa che si inserisce nell’ambiente, lo deve fare con quelle cautele, con quelle prudenze che ci consentono di utilizzare in modo equilibrato le risorse naturali che abbiamo a disposizione”.

Se le parole di Salsa e Dellai sono oneste e sincere – ed auspichiamo che lo siano – è giunta l’ora di dimostrarlo sul campo. Per il Colbricon potrebbe essere l’ultima fermata.

 

     

Roberto Bombarda

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